Lo spettacolo racconta la storia del giovane Garabed Surmelian, della sua famiglia e della
vita a Shevan, un piccolo villaggio di montagna dove tutto scorre ancora con i tempi dettati
dalla natura e da riti antichi.
Attraverso le parole di un Meddah, un narratore della tradizione, apparirà un affresco
appassionato, curioso e rispettoso, che alterna momenti intimi emozionanti e profondi ad
altri più leggeri e divertenti per raccontare la nascita, i riti di passaggio, i giochi e le feste,
che porteranno gli spettatori ad entrare in contatto con alcuni dei "colori" di questa cultura
straordinaria; ma pure con le ansie e le paure, perché sugli armeni di questo villaggio,
come su quelli di tutti gli altri villaggi o città, incombe la folle minaccia di una giovane
classe dirigente turca portatrice di un'ideologia nazionalista, che sfocerà nella
pianificazione e nell'attuazione del più atroce e terribile dei crimini: il genocidio.
E quando il racconto volge al termine in senso tragico e tutto sembra ormai perduto, il
Meddah toccherà ancora una volta i cuori con un'ultima storia che consentirà a tutti di
tornare a sperare e a respirare.
La mostruosità di quel genocidio non può e non deve essere solo sostanza della storia del
popolo armeno, ma deve diventare parte della coscienza universale perché i morti non
smetteranno mai di far sentire la loro voce. Né dovremmo farlo noi, in loro ricordo, perché
solo coltivando la memoria come antidoto, possiamo immaginare, per tutti coloro che
verranno, un mondo senza fanatismi, nazionalismi, intolleranze e razzismo.